30 Ago 2018

Dalla sicurezza informatica alla miniaturizzazione dei computer. Storie di imprese che nella regione stanno lavorando alla trasformazione digitale della manifattura.

Wired.it – L’adeguamento dell’imprenditoria italiana alla quarta rivoluzione industriale passa dalla rete infrastrutturale dell’innovazione digitale lanciata per la prima volta dal ministero dello Sviluppo economico nel settembre 2016. Ma cosa succede a livello locale? Prendiamo il caso della Toscana.

Parlare di industria 4.0 in Toscana significa prima di tutto partire dal Digital Innovation hub (Dih) creato a inizio anno dalle confindustrie del territorio per mettere in contatto imprese, università e centri di ricerca. “In due anni, da quando a livello nazionale e poi regionale è stato messo in campo un piano organico di sostegno all’industria 4.0 sono stati fatti passi avanti interessanti” riassume Silvia Ramondetta, responsabile area economica di Confindustria Toscana e coordinatrice del Dih. “Fino a due anni fa solo il 15% delle imprese in Toscana sapeva cos’era l’industria 4.0, oggi sfioriamo il 95%”.

Conosciuta, forse, ma ancora poco praticata l’industria 4.0. Un’indagine del ministero sull’impiego di tecnologie 4.0 tra le imprese italiane – un sondaggio condotto tra ottobre 2017 e febbraio 2018 su un campione di circa 23.700 imprese, ha svelato che appena l’8,4% delle aziende italiane fa impiego di almeno una tecnologia 4.0. Cui si aggiunge un 7,4% che dichiara di avere in programma investimenti specifici nell’arco dei prossimi tre anni. Le aziende che non utilizzano tecnologie 4.0, né ne prevedono l’adozione sono l’86,9% del totale.

Poco spazio per l’ottimismo, men che meno in Toscana.

“Il dato è inquietante, non c’è che dire”, spiega Ramondetta. “Altre indagini danno risultati differenti ma questo dato rimane un campanello allarme, uno stimolo ad andare avanti, a partire dall’Innovation Hub, dalle politiche di sostegno e da quelle di incentivazione. Alla base, poi, dobbiamo capire perché le imprese tradizionali del territorio scelgono di rimanere tali e non sono interessate ad abbracciare il percorso di 4.0”. Secondo Ramondetta, varrebbe la pena di ripartire dai pacchetti di incentivi per il supporto a ricerca e sviluppo di piccole e medie imprese e professionisti varati nel 2017 per un totale di oltre 50 milioni, terminati per mancanza di fondi disponibili: “Il nostro augurio è che, avendo avuto un impatto evidenti, si possa trovare il modo di farli ripartire”.

Non solo risorse economiche, ovviamente, ma anche competenze e formazione: “A livello regionale, sono partiti i progetti di riqualificazione dei lavoratori in chiave 4.0. In questo senso, sono stati pensati anche dei voucher per imprenditori e manager, per adeguare le loro competenze in chiave tecnologica. Una iniziativa molto importante, anche se la nostra speranza è che si arrivi ad un piano organico”. È proprio sul singolo territorio che si nota come la pioggia di attori e iniziative diverse si traduca in una incertezza d’azione: “Abbiamo quindi chiesto alla regione di replicare quanto fatto a livello nazionale, ovvero una cabina di regia comune, che metta insieme gli sforzi di regioni, associazioni di categoria e tutti gli attori impegnati nello sforzo di creare nuove competenze digitali e una fiorente industria 4.0 in Toscana”.

La Toscana dei makers

Tra le realtà già aggiornate al passo 4.0 c’è Seco. Con oltre 50 milioni di euro di fatturato e più di 250 dipendenti, l’azienda di Arezzo (e uffici negli Stati Uniti d’America, in Germania, in India e a Taiwan) è una piccola realtà italiana all’avanguardia nel campo dei microcomputer. “Operare in Italia per un’azienda di elettronica high tech può essere vista come una complessità nella complessità, sia a livello di ecosistema, ma soprattutto per la difficoltà a reperire figure tecniche ad alta specializzazione”, ammette Gianluca Venere, a capo della sezione internet of things. “Tuttavia, la nostra italianità è stato uno dei nostri principali punti di forza in questi 40 anni: siamo nati ad Arezzo e qui abbiamo mantenuto direzione, ricerca e sviluppo e, cosa più rara, tutta la produzione”.

La società nasce negli anni Settanta dall’acronimo dei nomi dei due fondatori – Daniele Conti e Luciano Secciani – diventando presto leader tra i produttori europei nella miniaturizzazione del computer, micro realtà ad altissima tecnologia che si trovano negli attrezzi delle palestre, negli elettrodomestici intelligenti, ma anche nei robot per l’esplorazione nello spazio: “Iniziato il proprio processo di internazionalizzazione ben prima che ciò diventasse una buzzword, e che contributi statali ed europei a questo scopo fossero disponibili” chiosa Venere. Seco è anche un punto di riferimento per i makers nel mondo da quando, nel 2013, ha creato Udoo, un micro computer open source per il mondo degli studenti, degli sviluppatori e dell’iot. Poche settimane fa ha anche avviato una campagna di crowdfunding su Kickstarter per la scheda computer open source Udoo Bolt.

“La linea Udoo ci ha consentito di espandere notevolmente il nostro ecosistema includendo dipartimenti universitari in tutto il mondo, oltre che rinforzare i nostri già stretti legami con i maggiori silicon manufacturers come Amd, Intel ed Nxp”, aggiunge il responsabile. Di recente Seco ha visto l’ingresso nel capitale del fondo Fii Tech Growth, gestito da Fondo investimento italiano sgr, con una quota di minoranza e l’acquisizione di Aidilab, laboratorio creativo di interaction design, con l’obiettivo di far evolvere “la visione dell’elettronica embedded verso l’offerta di servizi a valore aggiunto legati al machine learning a all’edge computing, offrendo così ai clienti una soluzione iot completa”.

La cybersecurity a Empoli

Tra le colline toscane, a Empoli, si trova Var Group, che fornisce soluzioni informatiche per oltre 6mila imprese italiane. Il che si è tradotto, quest’anno, in un giro di affari di oltre 290 milioni di euro, 1.600 persone e 23 sedi sul territorio. Si occupa di cloud, di integrazione tra sicurezza digitale fisica, di consulenza.

L’ad, Francesca Moriano, ha una idea precisa riguardo alla pervasività del digitale: “La competitività del manifatturiero italiano, che oggi passa attraverso la progressiva adozione dei paradigmi 4.0, va promossa e insieme concretamente difesa”. Difesa che guarda in una direzione specifica: “Il 2017 è stato il peggiore anno di sempre per gli attacchi informatici, che a livello globale non solo sono in crescita, ma risultano sempre più dannosi. Noi ci stiamo impegnando a garantire una protezione integrata: abbiamo realizzato investimenti e acquisito competenze sul territorio, in dodici mesi abbiamo stretto 4 nuove partnership nella security, su venti completate in poco più di un anno”.

Nuovi partner e campagna acquisti che hanno spaziato dalla videosorveglianza e sicurezza fisica ma anche cyber intelligence e soluzioni blockchain, a dimostrazione della eterogeneità di una visione digitale e integrata: “Proponiamo un approccio alla sicurezza by design, ovvero la prendiamo in considerazione fin dalle prime fasi di progettazione dei nuovi processi produttivi. Puntiamo ad una visione complessiva della security, intesa come integrazione e convergenza di sicurezza informatica, fisica e logica, che sia alla base di tutti i progetti di trasformazione digitale”.

di Cristina Piotti

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